Ti voglio presentare un altro breve racconto di fantascienza, scritto a quattro mani da me Gatto NineNineNine e mio Padre Inzbin intitolato: Jeremia
Jeremia Jeremia se ne stava placidamente seduto sotto la sua pianta preferita, un’enorme quercia che era riuscita a sfidare quasi due secoli. Stava immobile, appagato, all’ombra del suo albero, guardando verso i suoi piedi, in direzione dell’edificio grigio che rappresentava la scuola e tutta la sua esistenza. Guardava ma non vedeva, troppo preso dai suoi pensieri. Rifletteva, proprio come faceva tutti i giorni. La sua mente, in quel momento, si trovava lontano, lontano dalla scuola e lontano dagli altri suoi piccoli compagni. Jeremia ha solamente otto anni e un Q.I. (Quoziente d’Intelligenza) pari a 204. Molti pensavano che il piccolo, benché avesse un Q.I. fuori scala, fosse solo un autistico asociale. Altri pensano tuttora che il piccolo sia più vicino alla pazzia che al genio. Jeremia non si era mai curato di loro, specialmente dei suoi insegnanti. Non amava parlare con gli altri, spesso non lo capivano e di solito lo trattavano come uno stupido bambino, più o meno come trattavano gli altri piccoli geni che studiavano alla scuola speciale. Lui amava solamente starsene in pace, sotto il suo albero, preferibilmente durante i pomeriggi estivi. Gli altri potevano anche continuare con le loro banali lezioni. Era stato classificato “Fuoriscala”. Per determinare il suo Q.I. si era mobilitato un plotone di psicologi ed un imprecisato numero di luminari con specializzazioni molto precise. Era saltato fuori il numero 204. Si trattava solamente di un numero. Cosa mai può significare un banale, sintetico, numero? Era stato detto che il Q.I. di una persona è mutevole e tende a crescere con il tempo. La stessa intelligenza si sviluppa e si nutre delle esperienze, delle conoscenze, delle emozioni stesse della vita. Detto ciò, avevano classificato il ragazzo come “204”. Da quel momento erano passati ben tre anni e nessuno aveva più controllato quel numero. Durante quei tre anni la prontezza, l’acume, la sensibilità e la pura intelligenza di Jeremia erano cresciute con lui. Ma tutto ciò al piccolo non interessava molto. Lui si rifugiava nelle sue riflessioni, nei suoi pensieri. Non gli importava se gli altri amavano osservarlo, si deliziavano studiandolo, analizzandolo, elencandolo, catalogandolo, discutendone, disquisendone. Gli avevano dato un numero in base alle risposte che aveva fornito. Cosa era quel numero? Jeremia era Jeremia, per quello che faceva, per quello che pensava, per come pensava. Jeremia non si considerava un numero. La mattina, come era stato ordinato, restava assieme agli altri bambini, studiando un po’ di tutto. Spaziava dalla matematica, alla programmazione dei computer, alla storia, alla geografia, per passare alle nozioni avanzate di chimica organica, fisica, astrologia, scienze e non mancava certo filosofia. Durante determinate ore affrontava estenuanti sedute assieme a illustri personaggi che, per quanto affermavano gli istruttori, andavano ascoltati con molta attenzione. Quelle persone avrebbero dovuto dispensare perle di saggezza a piene mani, ma, nella realtà dei fatti, finivano sempre in sterili retoriche. Il piccolo non amava la sua scuola, la considerava superflua e imprecisa. Lui amava riflettere e informarsi direttamente attraverso il suo computer, dal quale poteva ottenere quasi tutte le risposte. Proprio questo era il suo limite; non sempre riusciva a trovare una risposta adatta alle sue domande. Questa mancanza non era dovuta alla sua incapacità nell’uso del computer oppure ad un’ errata formulazione delle domande, bensì dal fatto che non sempre esisteva una risposta. La domanda che assillava frequentemente la mente del piccolo era questa: “Chi siamo?” Inizialmente la stessa domanda era stata formulata da un eminente Vescovo, proveniente da un’illustre città. L’uomo era venuto in visita alla scuola un paio di anni prima e, durante un suo monologo, aveva tirato fuori proprio quel quesito. Il Vescovo, con la sua enorme e ballonzolante pancia, con un sorriso benevolo ed allo stesso tempo ingenuo, stampato sul volto, aveva parlato per ore e ore del nostro Creatore, della Chiesa, della Cristianità in genere e della Comprensione senza la Comprensione, ovvero della Fede. Quella visita era stata l’unica durante la quale Jeremia si fosse mai interessato. Non tanto per l’argomento, bensì per il fatto che, per la prima volta in vita sua non riusciva a comprendere appieno ciò che gli veniva detto. Così, lentamente, ma inesorabilmente, la sua impareggiabile mente, aveva iniziato a pensare, a sondare. Tutti i giorni, da allora, nel pomeriggio, si era diretto verso il suo amato albero per riflettere. Spaziando con la mente verso i confini stessi del pensiero umano. In verità il piccolo rifletteva su molti argomenti. Tutti i giorni ripassava mentalmente tutte le lezioni della mattina cercando di scoprire eventuali incongruenze con le conoscenze a sua disposizione, programmava il resto della sua giornata a scuola e meditava sulle ultime ricerche che aveva svolto con il suo computer. Infine, la sua mente, inesorabile, riproponeva puntuale, la stessa domanda: “Chi siamo?” Ancora non era riuscito a trovare una risposta adeguata. Spesso aveva parlato di questo suo dilemma con il suo albero preferito. La grande quercia era l’essere più saggio che il piccolo conosceva. La pianta non si stancava mai di ascoltarlo, a differenza degli psicologi e degli stessi insegnanti. Gli esseri umani erano troppo presi dalla loro importanza per curarsi delle domande del piccolo Jeremia, che, di solito, era considerato troppo strano anche per una scuola “adatta” come la sua. Generalmente veniva paragonato a un topo di laboratorio, una piccola cavia adatta solamente per essere studiata e per capire ciò che non funzionava. Jeremia non si considerava una cavia. L’albero era ben diverso da tutti loro. Esso ascoltava con un interesse al di fuori della comprensione umana. Ascoltava e taceva. Il piccolo era sicuro che quella quercia lo comprendesse. Il solo fatto che taceva alle sue domande indicava riflessione. Una riflessione attenta e precisa. Una meditazione, tanto profonda che solo i secoli avrebbero portato una conclusione. Il piccolo genio questo lo capiva e lo accettava. Così, giorno dopo giorno, tornava dal suo albero ponendo altri quesiti, parlando, ascoltando il silenzio di quel luogo incantato. Jeremia ha solo otto anni ma già non trova più divertente giocare con i suoi coetanei. Gli psicologi lo considerano per questo un’asociale e non lo comprendono. I maestri pensano che non si tratti di un genio bensì di un ragazzo autistico. Tutto questo il piccolo lo poteva capire. Tutte quelle persone erano troppo chiuse per comprendere ciò che stava pensando, troppo sciocche persino per porsi le giuste domande. La sua quercia, invece, ascoltava, ascoltava con attenzione e comprendeva, comprendeva come unicamente una pianta riesce a fare, silenziosamente e completamente. Nell’ultima settimana, il piccolo genio si era spinto molto oltre nei suoi pensieri. Si rendeva perfettamente conto che la sua mente aveva iniziato a vagare anche al di fuori della sua normale sfera di conoscenze e aveva indagato un po’ su questo fenomeno. Si era ritirato in se stesso, si era allargato mentalmente e aveva sciolto i legami che lo tenevano inchiodato al suo corpo. Inizialmente aveva allargato le sue percezioni verso quelle della sua amata pianta e aveva incluso ogni singolo filo d’erba attorno a lui, compresi tutti i minuscoli, piccoli, animaletti che popolavano quella miniatura di ecosistema. Aveva assorbito pienamente e senza riserve tutto ciò che lo circondava. Lo aveva compreso e lo aveva accettato in un modo che solamente lui era in grado di concepire. Assolutamente. Indagando attraverso quelle stupende sensazioni, osservando il mondo attraverso quella nuova comprensione, si era allargato, si era espanso. La sua coscienza aveva iniziato a crescere e a fondersi con il resto del creato. Di giorno in giorno il piccolo Jeremia aveva potenziato e cresciuto questa sua capacità, questa sua dote naturale, esplorando appieno il creato attorno a lui con una comprensione, una compenetrazione sempre più globale e universale. Di giorno in giorno aveva allargato la sua sfera esistenziale, aveva affinato la sua percezione. Di giorno in giorno imparava. Da una settimana il piccolo Jeremia visitava con la sua mente luoghi sempre più lontani, sempre più affascinanti e li comprendeva in un modo tutto suo. Vi faceva parte. Infine, esplorando quel nuovo stato della sua coscienza, incredibilmente, non si era trovato più solo. Da una settimana non era più solo. Durane la sua ricerca, aveva finito per incontrare un’amica, una piccola amica. Per Jeremia era facile parlare con lei. Era tanto facile comunicare con lei quanto difficile era farlo con i suoi simili. Così evitava accuratamente di parlare con loro della sua esperienza. Essi non avrebbero capito. Non potevano capire. I due piccoli amici si erano incontrati per caso. Si erano incontrati mentre aleggiavano per l’universo alla ricerca di nuovi luoghi da esplorare, di nuove esperienze da comprendere. Entrambi ugualmente intenti nella loro ricerca, felici nelle loro avventure. Si erano incontrati per un puro, infinitesimale, rarissimo, improbabile caso. Ma si erano trovati. Forse attratti dalla loro stessa somiglianza. -- Chi sei tu ? – Era stata la domanda che Jeremia aveva inviato nel momento durante il quale si era reso conto che un’altra presenza aleggiava da qualche parte vicino alla sua. Da questa semplice domanda era nata un’amicizia. Un’amicizia unica e preziosa. L’amicizia di due esseri che avevano le stesse capacità e il medesimo modo di comprendere la realtà dell’universo nel quale vivono. Se il piccolo Jeremia avesse parlato della sua amica con gli stupidi umani che controllavano la sua educazione, lo avrebbero sicuramente rinchiuso dentro qualche cella imbottita. Non che questo avrebbe turbato le sue peregrinazioni mentali. Non sarebbe stato possibile limitarlo. Però lui preferiva starsene seduto sotto la sua quercia, era un luogo così piacevole e pacifico. Un luogo dove le angosce e l’inutile frenesia umana non osava avvicinarsi. -- Hai voglia di pensare assieme a me ? – La sua amica lo stava chiamando. -- Certamente. – aveva risposto felice il piccolo. – Hai meditato sulla domanda? Hai trovato una strada di pensiero che possa condurre alla comprensione? -- Purtroppo no. Una tra le prime cose che il piccolo genio aveva condiviso con la sua amica era stata proprio la sua domanda. “Chi siamo?” ed aveva chiesto se lei avesse una risposta adeguata. Malauguratamente la sua amica non aveva risposta. Anche lei si era posta un simile dilemma, anche se non con gli stessi termini di Jeremia. Lei non aveva incontrato quell’eminente uomo di fede, quindi la domanda non si era imposta in termini di esistenza. Lei si chiedeva: “Cosa facciamo qui?” I due, dopo una lunga, intensa, attenta ed unisona riflessione erano giunti alla conclusione che si trattava dello stesso dilemma e che la risposta ad uno avrebbe soddisfatto anche l’altro quesito. -- Una cosa però la comprendo. --- Disse incredibilmente l’amica del piccolo genio. Il suo modo di pensare era totalmente diverso da quello di Jeremia e il suo acume era brillante, nello stesso modo nel quale era diversa la sua comprensione della realtà, pungente anche se, purtroppo, leggermente meno precisa. Lei pensava in termini differenti, molto più differenti di quanto siano giustificati da una base culturale diversa. – Noi siamo solamente bambini. – Aveva continuato. – Abbiamo molta strada ancora da percorrere prima di raggiungere la nostra maturità. Questo a dispetto di coloro che dicono che siamo già al culmine della nostra crescita intellettuale. – Sorrise felice. – Quindi comprendo che dobbiamo aspettare per avere una risposta completa, soddisfacente ed esauriente al nostro quesito numero uno. Jeremia sospirò. -- Però, se vuoi, posso dirti perché siamo qui, adesso, noi due. -- Credo di saperlo. – Rispose il piccolo genio. -- Noi due siamo qui per interagire attraverso i nostri pensieri e le nostre emozioni. – Fu la risposta alla quale era giunta la sua amica. -- Lo supponevo. – Rispose. – Purtroppo credo che non potremo mai incontrarci di persona. Sospirò nuovamente. -- No. Non credo che per il momento sia possibile, Ancora non siamo in grado di attraversare fisicamente la parte di universo che ci separa. – Sospirò a sua volta la piccola aliena. -- Questo è vero. Ciò non toglie che sto già pensando ad un modo per risolvere questo problema. -- Per il momento mi accontento di essere tua amica. Tu sei l’unico che comprenda ciò che penso. -- Anche tu sei l’unica che comprenda ciò che penso. I due sospirarono assieme. Forse, ancora, non erano sufficientemente intelligenti per capire che l’intero creato aveva smosso le sue forze più possenti e arcane, aveva distorto le sue leggi più ferree, aveva curato per milioni e milioni di anni un piccolo e importantissimo progetto, sino a far maturare due esseri come loro. Li aveva fatti nascere ai due estremi di se stesso e adesso li guardava benevolo, aspettando che comprendessero la risposta fondamentale. “Loro erano il suo sogno ed erano lì l’uno per l’altra. Perché non è forse così che nascono gli universi ?” Breve racconto di Fantascienza scritto da me Gatto NineNineNine e mio Padre InzbinSpero proprio ti sia piaciuto.Se ti è piaciuto non mancare di leggere anche gli altri racconti che abbiamo scritto, vai a vedere la sezione RACCONTI .
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